Domenico Crescenzo. Con screevo il sogno americano continua…

Domenico Crescenzo, CEO e Co-founder di Screevo. Nato a Roma e cresciuto ad Aprilia, piccola città in provincia di Latina. Si trasferisce a Milano, si laurea in Ingegneria Energetica, si trasferisce all’estero a Stoccolma e rientra a Roma per intraprendere la carriera di imprenditore e aprire la propria azienda.

Come nasce il progetto di Screevo, software di assistenza vocale a supporto di operatori e tecnici?
Il progetto nasce da un’osservazione fatta durante un go live in fabbrica, quando lavoravo in una precedente start up. Mi sono reso conto che i tecnici e manutentori spendevano tantissimo tempo nell’inserire i dati nei sistemi. Al tempo stesso, scoprivo che proprio loro avevano un gruppo WhatsApp dove all’interno scambiavano informazioni, messaggi vocali e a fine giornata rielaboravano il tutto, andando ad annotare i resoconti. Così nasce l’idea di Screevo, a fine 2020.

Fresco di vittoria del Kaplan Pitch Tank 2022 a Chicago, raccontaci come è stata l’avventura americana…
Avevo già dei contatti con gli Stati Uniti, anche se non conoscevo nulla del paese. Pensando a Screevo: l’idea c’era, ma mi servivano i soldi. Allora mando qualche migliaio di mail, finché mi rispondono positivamente. In America mi rendo conto della diversa velocità. Mi rendo conto anche che tutti lavorano negli scantinati, nei famosi garage, così come leggenda narra, e tutti sono pronti ad accogliere idee, testare prodotti, accogliere gli altri se possono avere realmente ricevere dei benefici. Questa velocità, che ti permette di accelerare i processi, paradossalmente ti fa ricevere porte in faccia più rapidamente o abbracciare partnership all’istante. E poi serate di gala, smoking, cene accanto a grandi imprenditori, politici e guru del business… insomma, davvero un’esperienza entusiasmante.

L’ossessione batte il talento?
Secondo me, no. Sono convinto che deve esserci un seme di talento su cui si può costruire. Serve ossessione per costruirlo. Però, l’ossessione ha il rischio di diventare ossessione cieca: significa continuare a sbattere contro un muro e non è una buona strategia. Quindi avere anche la capacità di fermarsi, guardare, capire dove stai andando e poi ricominciare a pedalare… Per concludere: l’ossessione è fondamentale, ma in brevi periodi.

Quali sono le tre caratteristiche che un buon CEO deve possedere…
Sto cercando di impararlo! La prima che ho imparato è la capacità di influencing. Non puoi comandare nessuno, devi discutere tutto, devi essere capace di portare le persone verso la tua visione, comunicarla, e a volte anche a cedere. Ma è fondamentale saper influenzare in maniera dolce, giusta. E capire anche quando si sbaglia. La seconda è la determinazione: sento che a volte che se cedo, “cade la baracca”. Invece devo essere perennemente positivo e fiducioso nel futuro. La terza, devi essere matto. Perché con tutte le statistiche contro di te, devi essere proprio un folle per continuare ad andare avanti.

Cosa volevi fare “da bambino” e cosa vuoi fare “da grande”?
Da bambino volevo fare l’archeologo, precisamente il paleontologo. Poi quando sono entrato nella scuola militare… il biologo marino! E adesso voglio continuare a fare quello che sto facendo, cioè l’imprenditore. Ma quello che mi entusiasma nel futuro è insegnare: che sia università o high school. Quando mi sarò stufato di fare le ore piccole, mi piacerebbe insegnare.

Progetti futuri, personali e aziendali…
Come progetti personali, mi piacerebbe imparare un’altra lingua, probabilmente lo spagnolo, perché tante persone spagnole non parlano l’inglese. Lato aziendale, tornare negli Stati Uniti, dove abbiamo anche una sede, per continuare a costruire e crescere.

Il consiglio che dai agli imprenditori?
Credo che alla base ci siano l’importanza e la voglia di sperimentare e di spingere anche internamente l’innovazione. Non basta mettere dei soldi e investire per innovare, ma bisogna portare avanti i progetti con coraggio.

“Cosa pensi di 01magazine?
Penso sia un’iniziativa bellissima. Quando ho visto il magazine a Chicago ho pensato: “Bella questa rivista!”. Mi piace il fatto che sia una divulgazione non puramente tecnica, né pubblicitaria. Ma è divulgazione proprio per il fine di conoscere e diffondere idee. E devo dire che è anche ben fatta e curata esteticamente.”

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