Stefano Versace, ambasciatore di eccellenze italiane per gli Usa

Stefano Versace, raccontaci chi sei in poche righe…
Sono un appassionato di prodotti italiani che crede che abbiamo avuto una fortuna sfacciata nel nascere italiani perché, pur non avendolo scelto, siamo nati nel posto migliore del mondo, la culla della cultura mondiale, ragion per cui sono convinto che abbiamo l’obbligo morale di restituire parte di questa fortuna. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo prima di tutto riconoscere che non siamo perfetti e, secondariamente, andare all’estero per capire come funziona il resto del mondo con lo scopo di diffondere i prodotti italiani. Si può poi decidere di ritornare in Italia per consegnare ciò che si è imparato all’estero ed eventualmente restarci definitivamente per continuare a trasmetterlo.

Il tuo sogno da imprenditore era aprire la più grande catena di gelaterie negli Usa. A quanto pare il sogno si è avverato…
Il sogno si sta realizzando, nel senso che siamo già una catena importante di gelaterie che continua a perfezionarsi nonostante tante difficoltà quali la poca conoscenza del mercato locale, la concorrenza e persino eventi straordinari quali uragani e Covid. Siamo leader di settore a Miami e nel south Florida e ci stiamo trasformando in un franchising strutturato, prendendo a bordo consultor che vengono da grandi catene come MC Donald e altre grandi nazionali. Il nostro obiettivo è quello di poter offrire a tutti la possibilità di aprire una nostra gelateria in franchising, specialmente a coloro che vogliono trasferirsi qui, permettendogli così di vivere il sogno americano.

Perché proprio il gelato?
È molto semplice: perché nel mondo siamo famosi tra le tante cose soprattutto per il food, è perché gelato è l’unica parola che non è stata violentata dall’estero con imitazioni sbagliate, quali “parmisan” per il parmigiano, o le parole “pasta” “mozzarella” e “pizza” che, non avendo una traduzione, vengono regolarmente utilizzate per denominare prodotti che non hanno nulla a che vedere con l’originale. La parola gelato ha la fortuna di avere una traduzione, ovvero Ice Cream, per cui la parola Gelato è utilizzata all’estero quasi esclusivamente solo per definire un prodotto preparato da italiani. Inoltre, il gelato piace a tutti, indistintamente da fascia di età o etnia.

Sei un esperto di finanza applicata all’economia reale. Come coniughi la tua conoscenza all’ambito imprenditoriale?
Basta circondarsi di persone più brave di sé – ovvero più brave di noi nei settori non inerenti alla programmazione finanziaria – per cui io nella mia squadra ho persone specializzate nella realizzazione del gelato, nell’attività commerciale, nella creazione del layout dei negozi, nella gestione e istruzione del personale, nel controllo contabile, lasciando per me la parte di progettazione, programmazione e controllo. Un vero imprenditore è una persona che riesce a diventare inutile per l’azienda. La mia azienda va avanti senza di me, perché l’ho strutturata sui numeri. Strutturare un’azienda su numeri che sono controllabili, verificabili e inconfutabili, significa sapere esattamente in ogni momento se l’azienda sta funzionando o no.

Qual è il segreto del tuo business?
Non esiste un segreto: è il risultato di una serie di ingredienti di alta qualità come persone selezionate per competenza, un’ottima visione e programmazione, una grande passione per quello che si fa, un ambiente di lavoro piacevole e confortevole, una mission ben definita e chiara, nel nostro caso quella di far conoscere la differenza tra Gelato e Ice Cream.

Qual è il tuo talento?
Sicuramente il mio talento più grande è quello di saper fare connessioni tra le persone, quindi saper tenere relazioni con la gente, saperle far sentire a suo agio e creare relazioni. Mi capita spesso di riuscire a far nascere business tra persone che si conoscono ma non hanno mai pensato di fare business insieme perché non sanno fare incontrare l’uno il talento dell’altro. Le relazioni personali sono sicuramente la base di tutti gli altri talenti che posso avere.

Nel mio lavoro la tecnologia mi aiuta soprattutto nel controllo dei numeri…

Come e perché ti ha aiutato la trasformazione digitale nelle tue attività?
La trasformazione digitale aiuta chiunque, anche se non lo vogliamo ammettere, a partire dalla vita personale, dove un padre come me può concedere una maggiore libertà ai propri figli grazie al fatto che può conoscere sempre ed esattamente dove si trovano, dove una famiglia può tranquillamente prendere Uber perché sa in anticipo chi li sta venendo a prendere, che strada sta facendo e se è un buon guidatore. Per non parlare della possibilità di scegliere la televisione che più ci piace o farsi portare la spesa a casa ordinata comodamente tramite internet. Nel mio lavoro la tecnologia mi aiuta soprattutto nel controllo dei numeri, permettendomi tramite un gestionale personalizzato di conoscere dati fondamentali per un’azienda, quali le percentuali di vendite per fasce di orario, quali sono i prodotti più venduti e quali i più commercializzabili. Oggi abbiamo strumenti straordinari, anche se spesso siamo un po’ ottusi in merito. Basti pensare alla differenza di opinioni che c’è in Italia relativamente alle carte di credito, dove la definizione di strumento di controllo da una parte dovrebbe tenere conto dei vantaggi dati dall’altra, quali l’impossibilità di ricevere banconote false, la riduzione degli scippi, la certezza e la sicurezza dei pagamenti e degli incassi, la comodità di poter uscire con un pezzo di plastica in tasca solo con proprio smartphone, avendo a portata di mano sia il portafoglio che tutta una serie di servizi accessori mirati a tutelaci da eventuali frodi.

Nella vita succede spesso di subire torti soprattutto nel lavoro: si può dimenticare e perdonare?
Chi dice di dimenticare, mente, e non è vero che occorre perdonare per sentirsi liberi. In realtà quello che si dovrebbe fare è semplicemente comprendere che ci sono fatture che non si possono portare all’incasso e conti del passato che non si possono regolare. Occorre mettere tutto quanto nello zaino che si ha sulle spalle e che costituisce tutta la propria esperienza e andare avanti, senza cercare di regolare i conti con persone che comunque hanno le loro vite e le loro famiglie, che non devono essere coinvolte in una guerra che non è la loro. Il tempo va utilizzato per costruire il futuro e non per rinvangare il passato.

Quanto è importante “fallire” per un imprenditore?
Questo è qualcosa di fondamentale, Fallire nel senso di sbagliare, anche chiudere un’impresa è qualcosa con cui gli italiani devono imparare a far pace, fallire fa parte del fare impresa. Io ho fallito tantissime volte, chiuso negozi, fatto business che non hanno funzionato, eppure continuo a farlo. Chiunque quando comincia a camminare cade, sbatte la faccia, si sbuccia le ginocchia ma non per questo decide smettere anzi, quando impara a camminare inizia anche a correre. La vergogna che in Italia può portare addirittura ad un suicidio quando si fallisce, non è dovuta al fallimento, ma al pessimo rapporto che si ha con lo stesso. In America uno dei più grandi falliti americani, ben undici alle spalle, è diventato Presidente degli Stati Uniti. Il Fallimento è addirittura considerato uno strumento finanziario che aiuta le imprese in difficoltà, tramite il ricorso al chapter 11, volto correggere parti strutturali del proprio business. Fallire fa parte del successo. Sempre in America si dice “fail fast”, “fallisci velocemente”, ovvero prima fallisci, prima arrivi al successo, perché il trofeo è proprio dietro l’angolo dove tu hai commesso il tuo ultimo errore.

Quali sono i consigli che dai ai giovani imprenditori?
Il consiglio più importante che do ad un giovane imprenditore italiano è quello di andare all’estero, di partire immediatamente per imparare, considerando che basta pensare che nonostante abbiamo la pizza, il gelato, e gran parte del cibo migliore del mondo, sono i ristoranti che operano in America a guadagnare i soldi con questi prodotti. Questo vuol dire che in Italia c’è ancora qualcosa che non abbiamo capito nel fare impresa. Il successo dipende solo per il 5% dal prodotto, il resto è la conseguenza dell’applicazione di tecniche che in Italia non abbiamo ancora imparato.

La buona notizia è che noi italiani possiamo raggiungere quel 95% di conoscenza, ma l’estero non potrà mai raggiungere la qualità del nostro prodotto, frutto di anni di storia, per cui noi saremo sempre irraggiungibili e imbattibili.

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